Feci, rilevazioni ed esami di laboratorio

2022-11-07 16:03:55 By : Ms. Polla Lu

Pubblicato il 11.09.17 di Giordano Cotichelli Aggiornato il 01.06.22

Messer Argante, protagonista de Il malato immaginario di Molière, chiede al dottor Purgone di poter valutare la sua salute malferma attraverso l’osservazione delle feci e dei gas appena emessi. L’ironia della Comédie française del XVII secolo rende bene la centralità diagnostica posta allora all’eliminazione intestinale. Un segno clinico che ha conservato la sua validità attraverso i secoli, pur nel modificarsi dei metodi di valutazione e degli obiettivi di ricerca. Anche in questo caso, come nell’esame urine si potranno effettuare rilievi delle caratteristiche delle feci ed esami di laboratorio.

La composizione delle feci varia in base alla dieta e alle condizioni fisiologiche e patologiche dell’individuo. In genere vi si ritrova: acqua (75%), fibra, grassi, microorganismi (es. escherichia coli), muco. In particolare, si potranno prendere in considerazione:

La quantità emessa varia a seconda degli individui e delle situazioni. In genere si aggira attorno ai 125 – 300 grammi ogni emissione. La frequenza varia anch’essa da una o due volte al giorno a tre o quattro la settimana (oltre le tre evacuazioni giornaliere si parla di alvo diarroico).

L’odore deriva dalla putrefazione e dalla fermentazione del materiale alimentare nell’intestino crasso. Più o meno accentuato, può variare a seconda della natura delle feci: nel neonato il meconio ha un caratteristico odore pungente; nella melena l’odore sarà quello del sangue alterato; nel colera e nella dissenteria bacillare (odore di pesce), con variazioni per la presenza di metano e prodotti di decomposizione quali scatolo, indolo.

Le feci possono avere anche presenze anomale come pus, muco (feci mucoidi, aspetto limaccioso), grassi (steatorrea) materiale alimentare, parassiti e uova (ossiuri, ascaridi, tenia, ecc.).

Il ph normalmente è neutro, altrimenti: acido, diete ricche di legumi, glucidi e alimenti fermentanti; alcalino, proteine (sangue), bicarbonati.

La forma e la consistenza, di norma sono cilindrica e dura con variazioni fisiologiche o patologiche. Una riduzione del contenuto di acqua, crea le premesse nel tempo per il formarsi di un fecaloma, mentre percentuali superiori alla norma daranno una consistenza poltacea (80%), semiliquida (85%), liquida (90%). La forma potrà essere: sferoidale (es. sterco di pecora), fusiformi (es. spasmi dello sfintere anale), a matita (es. stenosi retto). Esistono alcune scale di valutazione visive come ad esempio la Bristol Stool Chart.

Colore: normali, di colore più o meno marrone scuro dato dalla presenza della stercobilina (derivato della bilirubina); se il colore è marrone chiaro e si presentano untuose rivelano una incompleta digestione dei grassi; acoliche o ipocoliche o color argilla, cretacee, derivate dall’assenza di stercobilina e sono tipiche negli epatopatici; ipercromiche, ittero emolitico; grigie: o cremose, tipiche nei disturbi dell’assorbimento lipidico (diarrea tropicale); picee (melena), presenza di sangue digerito; striature rosse: per la presenza di sangue non digerito, proprio di emorragie dell’ultimo tratto dell’intestino (emorroidi, ecc.); rosse: nel caso di ingestione di particolari alimenti (es. bietole rosse); nere: in presenza di particolari medicinali ingeriti (es. carbone vegetale, ferro) o alimenti (mirtilli); bianche: dopo aver effettuato particolari esami radiologici (clisma opaco) si ha l’espulsione del mezzo di contrasto (bario) attraverso le feci; verdognole: normalmente è dato da una dieta ricca di vegetali, in casi patologici è il tipico colore della diarrea della febbre tifoide; acqua di riso: feci tipiche del colera; giallo: cibi ricchi di rabarbaro; arancione:, cibi ricchi di beta-carotene, o alcuni farmaci (rifampicina)

L’aspetto delle feci può suggerire indagini ulteriori da farsi in laboratorio, fra i quali i più comuni sono la coprocoltura, il tampone (per la ricerca della per klebsiella), lo scotch test (per verificare al microscopio la presenza di uova di parassiti), e la ricerca di sangue occulto nelle feci (Sof).

Questo esame, assieme alla rettosigmoidoscopia, rappresenta un importante strumento di screening del tumore del colon-retto, con la prerogativa, rispetto all’indagine endoscopica, di essere di facile esecuzione e privo di traumatismi di sorta. Va ricordato che il cancro del colon-retto rappresenta il 13% della totalità dei tumori diagnosticati, al terzo posto nel maschio (dopo prostata e polmoni) e al secondo posto nelle donne (dopo mammella). Il cancro del colon-retto è una patologia strettamente correlata il consumo di carni rosse, e quindi colpisce come grado di incidenza maggiormente la popolazione con un reddito alto, ma la relativa mortalità al contrario è maggiore nei redditi bassi, come indicatore epidemiologico di esistenza di diseguaglianze nella salute in cui il reddito (l’istruzione, l’occupazione, e molti altri determinanti della salute) permette o meno una miglior compliance diagnostico-terapeutica.

Lo screening (per il quale viene prelevato un solo campione) è funzionale a evidenziare sia le forme maligne sia quelle benigne che possono, in tempi lunghi (7 – 15 anni), degenerare. Il sangue occulto nelle feci va eseguito con una cadenza biennale, su utenti di età compresa fra i 50 – 69 anni, attraverso il prelievo di tre campioni provenienti da tre diverse evacuazioni. In passato richiedeva una preparazione dietetica preventiva abbastanza laboriosa, mentre oggi, a livello di servizi, vengono date istruzioni molto semplici e facili da seguire, con indicazione in merito a:

L’infermiere in merito alla diagnostica relativa al materiale fecale mantiene la sua funzione di educatore, istruttore e pianificatore delle azioni (come spiegato anche per gli esami delle urine), con un’attenzione relazionale però, vista la particolarità dell’oggetto di cui trattare, finalizzata a rendere partecipe al meglio l’utente e a liberarlo da qualsiasi forma di imbarazzo, o d’ansia, per gli esami che si troverà ad eseguire. In alcuni l’infermiere deve essere in grado di poter proprio gestire lo stato d’ansia presente nel paziente, sia nella fase preliminare all’esame, sia al momento in cui il risultato richieda interventi diagnostici ulteriori. In questo l’esito dell’esame Sof è uno di quelli maggiormente chiamati in causa. In passato la valutazione dell’esame era di tipo qualitativo (presenza o assenza di positività).

Oggi l’esito dell’esame è di tipo quantitativo, secondo una scala numerica che valuta come positivo il valore superiore a 100 ng/ml. In caso di un risultato negativo va spiegato all’utente che deve seguire comunque le indicazioni che il suo medico gli fornirà in relazione alla sua età, alle sue condizioni cliniche e ai programmi di screening in atto. Al contrario, in caso di positività – e va considerata tale anche relativamente ad un solo campione su tre -, l’infermiere nella sua presa in carico relazionale ed educativa dovrà perseguire l’obiettivo di rendere ulteriormente partecipe il paziente al percorso diagnostico intrapreso, di concerto con il suo medico di fiducia (specialista o di famiglia), e sostenerlo nel far fronte (coping) allo stress e all’ansia correlati all’esito diagnostico e alle prospettive immediate.

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